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PONTE SULLO STRETTO, ALVARO E SERGI: "RIPRISTINATO CORRIDOIO1, FINISCE LA GIOIA DEI NO PONTE"

 

 

Ricevo dal Prof. Bruno Sergi, docente di Economia internazionale all’Università di Messina, e pubblico

 

 

 

Bruno modificata

 

 

 

 

 

Una settimana fa, per l’ennesima volta, il vice Ministro alle Infrastrutture, Mario Ciaccia, dichiarava che ormai, per il Ponte sullo Stretto, si era alle battute finali per cui la decisione sarebbe diventata concreta nel giro di un paio di settimane. Aggiungeva, però, che “si è in attesa del parere vincolante del Ministero dell’Ambiente”. Immediata la replica del Ministro chiamato in causa, Corrado Clini, che dichiarava che “la decisione sul Ponte deve essere presa dal Governo e non è ancora all’ordine del Giorno”. Fin quì sembrerebbe uno ‘scontro’ tra due membri dello stesso Governo, come quando la mano destra non sa cosa fa la sinistra.
Ma la cosa ha parecchio di strano perché Clini ha continuato dicendo che “deve essere prima di tutto identificato se si tratta di un’opera strategica”. Comprendendo d’aver ‘scantonato’ perché si aveva l’impressione che la Valutazione di competenza del suo ministero era ‘adattabile’ alle scelte di governo, il ministro chiariva che detta valutazione d’impatto ambientale “prescinde dalla decisione che deve essere presa dal governo” chiamato a decidere sull’interesse strategico dell’opera. Ma se così stanno le cose cosa aspetta il signor Clini a decidere in merito?
La verità è che su questa questione così come su tante altre, il cosiddetto ‘governo dei tecnici’ appare condizionabile da varie lobby, così come abbiamo visto sulle liberalizzazioni e sul mercato del lavoro. Ma così, è chiaro, non si va da nessuna parte. Il massimo che si ottiene è semplicemente di far slittare la decisione sulla “visione strategica” del Ponte e facendo perdere tempo importante prima di imboccare la strada della crescita e della fuoruscita dall’endemica disoccupazione esistente nelle regioni meridionali.
La velocità con cui si sono decisi i prelievi fiscali, operati sui contribuenti italiani, cozza con la lentezza con cui si decidono le infrastrutturazioni che possono cambiare il volto dei territori interessati. Va ricordato che, a parte le scelte del governo precedente, a ottobre del 2011, l’Europa ha ribadito che il corridoio 1 (Berlino-Palermo o meglio Helsinki-Palermo con la deviazione Napoli-Bari) è tra i percorsi dell’Alta Velocità e dell’Alta Capacità che si dovranno finanziare.
E non poteva essere altrimenti essendo il corridoio 1, Nord-Sud, uno dei più importanti per ridurre i tempi di percorrenza delle merci tra il Nord Europa, il Medio Oriente e i nuovi protagonisti dell’economia mondiale come Cina e India, e viceversa, transitanti nel Mediterraneo e nello Stretto di Suez; ma anche la deviazione Napoli-Bari ha una logica perché collegabile al corridoio VIII che dal Mar Nero arriva ai Balcani.
Il Ponte sullo Stretto, che è un segmento del corridoio 1, nato per il trasporto merci, ma utilizzabile per ridurre il gap di isolamento di intere regioni meridionali, non pesa sulle deboli spalle del bilancio del nostro Paese, stremato dalla pressione fiscale ormai oltre il 45% e da un debito pubblico sempre elevato, perché si finanzia in larghissima parte con il sistema del project financing. E non è così difficile reperire i fondi necessari stante la disponibilità di investitori cinesi, giapponesi e di diversi altre economie che vantano tradizioni di tecnologia applicata alla costruzione di ponti.
E la sua costruzione è un’occasione irripetibile per innescare reali processi di crescita, stante la capacità che hanno i grandi investimenti di diventare moltiplicatori economici, vuoi per l’indotto nell’Area dello Stretto che necessariamente corre di pari passo con la costruzione dell’opera, ma vuoi anche per quanto provocherà il Ponte in tutta l’area meridionale del Paese, a partire dalle necessarie piattaforme logistiche di supporto ai porti e ai corridoi, con grossi investimenti asiatici, e vuoi infine per le opportunità turistiche che già si ipotizzano attorno al manufatto.
Difficile capirne la valenza strategica e la visione di insieme di un nuovo modo di interpretare le infrastrutture trasportistiche nel Mezzogiorno? Difficile capire che lo stock di infrastrutture al Sud è così basso -non solo su scala europea ma anche italiana- che un suo ingegnoso aumento avrebbe un effetto dirompente sulla crescita dell’economia tutta? Non crediamo. Adesso aspettiamo che i ministri interessati alla grande opera pubblica sappiano davvero dialogare e coordinarsi, l’uno con l’altro, per il superiore bene del Mezzogiorno e dell’intero nostro Paese.

Giovanni ALVARO

Bruno SERGI            (docente di Economia internazionale all’Università di Messina);

 

Melito P.S., li 25.5.2012

 

daniele dattola

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