Il Sito di Daniele Dattola

Profilo geografico – Melito di Porto Salvo

PROFILO GEOGRAFICO

Melito è un’importante cittadina, che fa parte della provincia di Reggio Calabria, conta circa 11.000 abitanti, il suo territorio degrada dalle pendici dell’Aspromonte (781 mt.) fino al mare Jonio e dista 30 km. da Reggio Calabria


(foto Daniele Dattola)

Le sue coste sono lunghe circa 6 km.

Notevoli sono le albe luminose che si affacciano fino a Capo Bova, Palizzi e Spartivento i tramonti spettacolari che vedono scendere il sole sull’Etna fumante.

(foto Lucia Mangeruca)

(foto Nino Marino)

Variegati sono i paesaggi che vanno da un territorio con caratteristiche collinare mandorli,uliveti, fichi d’India e la splendida ginestra,

(foto Daniele Dattola)

(foto Daniele Dattola)

a un mare azzurro e limpido, non parliamo delle spiagge sabbiose

(foto Daniele Dattola)

(Barche con Etna nello sfondo – foto Daniele Dattola)

(foto Daniele Dattola)

(foto Giuseppe Latella)

e delle coste piene di agrumeti (bergamotto), con il caratteristico odore della zagara, e le bianche fiumare che lo attraversano.

(foto Giuseppe Latella)


(Melito di notte – foto Daniele Dattola )

(Melito di notte – foto Daniele Dattola )

Fa parte di Melito, Il borgo di Pentedattilo, con la sua storia;

(foto Daniele Dattola)

Le sue frazioni, i profumi della zagara, i magnifici lidi sul mare, fanno si che Melito è una cittadina che va visitata a cui i turisti non possono sottrarsi per trascorrere una lieta vacanza.

UN PO’ DI STORIA

Mi rifiuto di scrivere che Melito ha un origine greca e dopo romana, si sa che il mare jonio su cui si affaccia Melito, fa parte del Mediterraneo (mare in mezzo alla terra). Gli antichi popoli del mare, costituiti da razze diverse, provenienti da diversi continenti lo attraversarono, favorendo la nascita di antichi nuclei: Gli Opici, I Pelagi, Gli Iberi, I Magnogreci, I Romani e cosi via. Molta influenza esercitò l’Egitto,già presente nel 3000 a.C. nel Mediterraneo, a causa dell’invasione dell’Egitto da parte di una tribù di Hycsos, due grandi tribù di Butani del Basso Delta e Bink del Sudan emigrarono sulla costa jonica in un posto che fu chiamato vuà (Bova) i butani adoravano una grande divinità Vutò, che aveva la forma di toro e parlavano una lingua simile al greco arcaico. Mentre in altri posti della Calabria si insediarono in questo stesso periodo altri popoli che furono detti Opici, in quanto il primo luogo che abitarono era detto Opicia (Butani e Bink ; Reseniti; Acri; Vudinoi; Driopi; Choni), e così via.
Sulla costa Jonica ormai è arcinoto che è stato rintracciato materiale archeologico che va dal paleolitico arcaico (un milione di anni fa) all’età del ferro (VIII°-VII° sec- a.C., ma quello più notevole è il materiale neolitico, che ha messo in risalto grazie al lavoro del prof. Robb e di altri illustri professori universitari internazionali, ritrovamenti preellenici molto precedenti al periodo della Magna Grecia, capanne ricoperte di rami e con intonaco il fango, cuspidi di frecce di ossidiana (materiale caratteristico di Lipari) e silicee, asce e una particolare serie di vasi e terrecotte con disegni geometrici, di colore bruno, trovati per la prima volta a Stentinello di Siracusa e perciò appartenenti ad una civiltà che risale da 8000 a 6000 anni a.C. per documentare e confermare quanto ho detto prima ecco uno dei tanti articoli Comparsi sui giornali locali e mi riferisco alla Gazzetta del Sud del 22 luglio 2003.

Autore Pietro Gaeta:
“Dalla Gazzetta del Sud del 22 luglio 2003 art. di Pietro Gaeta
Archeologi anglosassoni stanno eseguendo importanti scavi
Il Tesoro di Bova

Un Prof. Di Cambridge guida le ricerche

Reggio – Trenta giovani archeologi inglesi, americani, canadesi, guidati da John Robb, professore della prestigiosa Università di Cambridge, scavano nel territorio di Bova dal 1997. E i risultati sono straordinari: la presenza dell’uomo nella provincia di Reggio si retrodata all’epoca del Paleolitico (700.000 anni prima di Cristo!) Sebastiano Stranges, ispettore onorario della Sovrintendenza, e la sua equipe, da un ventennio hanno portato alla scoperta di centinaia di siti archeologici tra Pellaio e brancaleone e particolare rilievo hanno avuto i siti preistorici, praticamente sconosciuti nella letteratura internazionale. Fin dalla prime ricognizioni era emerso il ruolo di grande rilievo nella zona tra Saline e Bova che aveva già fatto parlare di una capitale neolitica nella Calabria meridionale. Il risultato di queste ricerche ha attirato archeologi internazionali che hanno deciso di investire denaro e tempo nella scoperta della preistoria nella nostra provincia. I due siti indagati sono Umbro e Penitenzeria (entrambi nel Comune di Bova), dopo che le segnalazioni di Stranges furono confermate scientificamente dal prof. Santo Tinè ( Il più grande archeologo preistorico italiano) che fu coadiuvato dal prof. Daniele Castrizio-, dove furono trovate alcune capanne neolitiche e uan ricchezza enorme di ceramica “stentinelliana” con motivi e decorazioni inedite”. Dopo i primi saggi le ricerche si sono appuntate nel sito di Penitenzeria che era il villaggio più importante dell’intera costa meridionale, la “capitale” della tribù Ausonia che si era insediata nella zona. “ I sistemi di scavi sono i più moderni – spiega il Prof. Castrizio- una vera lezione per l’archeologia locale. Usano la flottazione e il sistematico setacciamento della terra di scavo su cui intervengono i paleobotanici e i paleontologi. In Calabria, per la prima volta, è stato usato il sistema di datazione del radiocarbonio. Grazie a questi metodi innovativi, lo scavo ci restituisce non solo cocci e pietre, ma la vera storia dei nostri antenati. Sappiamo dove e come abitavano, cosa mangiavano e come distribuivano il territorio. Lo studio dei motivi ornamentali sulla ceramica ci restituisce anche la loro identità culturale: ogni tribù aveva i propri decori, come i clan scozzesi hanno i loro colori che li identificano. Sappiamo anche che avevano un commercio: prendevano e esportavano l’ossidiana dalla isole Lipari, importavano le pietre dalla Sila per le proprie asce, arrivavano vasi e forse anche uomini dalla Grecia e dall’Africa”. Quest’anno è cominciato anche uno scavo di case fortificate greche per lo sfruttamento agricolo e il controllo del confine tra Reggio e Locri (IV sec. A. C.). I villagi indigeni, probabilmente sotto la spinta dei Greci, furono abbandonati e il territorio subì una radicale trasformazione e reinterpretazione commerciale ed economica. “L’importanza di questi scavi – aggiunge Castrizio – è fondamentale per lo sfruttamento turistico del nostro patrimonio archeologico e rappresentano un vero e proprio esempio da seguire. Gli scavi sono costantemente aggiornati su internet, i materiali vengono velocemente pubblicati e messi a disposizione della comunità scientifica, specialisti stranieri vengono chiamati per risolvere i problemi della ricerca. Lo scavo di Umbro è molto famoso in Inghilterra ed è stato ripreso da riviste specializzate. Ma la cosa importante da comprendere è che questo sito ci ha consentito di saperne di più sui nostri antenati e poi, cosa ancora più straordinaria, che è semplicemente uno dei tanti che si possono scavare sulla costa reggina”. Sebastiano Stranges, dunque, è un esempio di chi, rimettendoci, sempre del proprio, ha vinto le iniziali resistenze degli esperti e non si è mai arreso all’assenza di fondi. “E se altri avessero agito come lui – conferma Castrizio-, certamente il nostro turismo culturale avrebbe avuto ben altre frecce al suo arco”. ……L’Aspromonte, sotto le grandi pietre (Pentadattilo, Pietra Cappa, Pietra di Febo…), cela ancora villaggi di straordinaria grandezza e ricchezza. Saline, in particolare, negli studi di Stranges e Robb, sembra essere una vera e propria capitale del neolitico con una serie straordinaria, per quantità e qualità di rinvenimenti……”

dopo vennero i Greci Calcidesi e il territorio di Melito era integrato al territorio di Reggio Calabria e quindi sua colonia. Molti sono i reperti relativi al periodo della Magna Grecia. Ai Greci subentrarono i Romani . Si sa con quale cura, i Romani tenevano le strade militari, ed una di queste era la via che circuiva il litorale, Costantina-Licina. Nel 1774, a Melito, “scavandovi delle fosse –dice il Cotroneo- che ricalca G.B. Moscato, per piantarvi alberi…vennero scoperti l’uno dopo l’altro due cippi, o colonne militarie, segnanti il XX° e il XXI° miglio. “tradotte dall’arciprete di Pentadattilo, Cilea essi indicavano i nomi dei Cesari che avevano prolungata, all’inizio del secolo 4° d.C. la via da Reggio a Locri. Le due colonne, sono identiche, si trovano oggi al Museo Nazionale di Reggio Calabria….secondo Cotroneo, Melito sarebbe stata una mansion romana: specie di locanda semi-militare per alloggiare e informare i passeggeri, che fosse un luogo importante lo dimostrano le due iscrizioni rinvenute sotto questi giardini prospettici: il primo ceppo reca:

C. Flav. Galer. Licinius
Ang Bono Annium
Natus
DDD NNN
Censpo Liciniano
Et Constantino
NNN. OOO. BBB. Caess.
MXX

e denota i nomi dei Cesari che all’inizio del 4° Sec. d.C. fecero prolungare questa via consolare pel Bruzzio da Reggio a Locri.
L’altra lapide è corrosa e illeggibile, ma pur essendo un po posteriore, è della stessa natura. Nella parte più antica di Melito fu ritrovata una Necropoli del V°- VI° sec. D.C. e nel 1704 presso la foce del torrente Anna’ sono stati rinvenuti ruderi risalenti ad epoca Romana., Decastadium. Anche al centro di Melito è stata trovata una necropoli verso gli anni 50, di epoca imprecisata a circa due mt. di profondità. Era un lunghissimo complesso sui 50 mt per 25 di larghezza di nitide strutture sepolcrali, un ordinatissimo recinto di loculi, di urne cinerarie, di anfore, di abbellimenti. Tutto andato distrutto. Un’altra necropoli è stata portata alla luce, durante gli scavi, all’interno del porto di Melito.

(foto Daniele Dattola)

(foto Daniele Dattola)

La brillante vita ellenica, fu ripresa e continuata, nei Bizantini. E durò sino a quando all’orizzonte non si affacciò l’invasione saracena. Allora si, che Melito: come tutto il litorale, divenne un deserto!! Erchempetro infatti disse della Calabria marina di quei tempi: deserta “ut in diluvio”.

Nel periodo Bizantino in cui le spiagge e i territori vicini erano deserti si sviluppò un grosso centro, abbarbicato alle falde di una montagna “Dolomitica” che ha la forma di una gigantesca mano sviluppato al disotto del Castello degli Alberti. Pentedattilo, uno dei più suggestivi posti della Calabria, famoso in tutto il mondo. La bellezza del posto incantò e affascinò lo scrittore inglese Edward Lear, che durante un viaggio in Calabria nel 1847, immortalò la rupe in un disegno.

(foto Daniele Dattola)

Il Paese nuovo, per pericolo di frane fu ricostruito in una zona più a valle. I visitatori sono affascinati dalla bellezza del luogo e dal misterioso silenzio che rende il posto attraente anche per la nota e tragica vicenda che avvenne nel 1686 quando Bernardino Abenavoli, figlio del Barone di Montebello si introdusse la notte di Pasqua nel castello, (alcuni sostengono per amore, ma sicuramente anche per interesse) e sterminò tutta la famiglia, dopo rapì Antonietta e la sposò contro il suo volere.

(foto e ricostruzione di Daniele Dattola)

Questo posto era prima Università, divenute le spiagge sicure i primi nuclei di Pentedattilo si spostarono da quel luogo impervio e si trasferirono, secondo notizie certe tramandatoci da Cesare Minicuci, intorno alla Torre di Melito nel paese alto e via via sempre più in giù. Il “Signore” di Pentedattilo favorì questa migrazione e diede grande impulso all’industria serica con le piantagioni di gelsi, quindi possiamo affermare che la Melito attuale ebbe origine intorno al 1600. Nell’800 i marchesi Ramirez , introdussero nuove coltivazioni tra cui il bergamotto e il gelsomino, prodotti tipici locali, dalla buccia del primo si estrae l’essenza, che viene usata come fissante in tutti i profumi del mondo. Né va dimenticato che il territorio di Melito è stato sempre un importante centro di pesca tanto è vero che il Barrio, , solitario etnografo calabrese (1506-1577, nato a Francica -CZ-, sacerdote, autore del “Gabrielis Barrii, Francescani. De Antiquitate et situ Calabriae. Libri quinque. Romae, apud Iosephum de Angelis, 1571”), considerato come storico lo Strabone, il Plinio, il Pausonia delle Calabrie. Scrive di Reggio e di altri luoghi notevoli vicino ad esso, commentando che a Pentedattilo in quell’agro e nel suo territorio si produce il sesamo, c’è ubertà di mandorli e di capperi, e si fanno ottimi mieli; si rinviene anche del quarzo eccellente. In questo mare si fa ingente pesca di sarde, che salate, si conservano negli orci. Nel 1811 con gli ordinamenti francesi Pentedattilo cessa di essere Università e Melito nel 1818 diventa Comune, mentre Pentedattilo sua frazione, gli vennero assegnati in questa occasione i villaggi di Pilati e Prunella e trasferite le istituzioni civili e religiose. Melito, è stato sempre il centro più grosso dopo Reggio Calabria, nel 1811, sotto la dominazione francese, subì vari attacchi, da parte della marina anglo sicula fu così prima danneggiato e dopo distrutto il fortino che si trovava sul litorale in direzione della casa degli Alberti. E da C. Minicuci “Il fortino aveva un presidio di artiglieri in numero di 12, dipendenti dal feudatario e dall’Università di Pentedattilo che corrispondeva loro i viveri. Il fortino era munito di 6 cannoni e una colubrina e rese eminenti servigi durante le invasioni turchesche e resistette per tanti secoli, fino al 1807, quando fu fatto saltare in aria dagli inglesi, che vi fecero esplodere molti barili di polvere”.
Le frazioni del Comune di Melito P.S. sono: Pentedattilo, Musa, Annà, S. Leonardo, Lembo, Pallica, Pilati, Prunella, Caredia, Musupuniti, Lacco.
Melito è famoso per l’Ospedale, voluto e creato da “T.Evoli”, medico notabile cittadino, che fu Senatore della Repubblica;

per la produzione del bergamotto; per la bellezza del suo lungomare che si affaccia a sud-ovest sulla Sicilia, l’Etna, Catania, Taormina visibilissime durante le giornate limpide;

(foto Daniele Dattola)

(Sicilia di notte – foto Daniele Dattola)

per lo sbarco di Garibaldi con i “mille” a seguito, la prima volta all’alba del 19 agosto 1860, la seconda nel 1862. Sul luogo dello sbarco vi è a perenne memoria una stele e una tomba dedicata ai garibaldini rimasti uccisi. In direzione della stele sotto la sabbia vi è sepolta la nave “Torino” utilizzata per lo sbarco da Garibaldi; per Pentedattilo e la sua pittoresca rupe, questo paesino è conosciuto ormai in tutto il mondo.
Molti sostengono che Melito deriva dal greco Melitos, genitivo di to melis che significa Miele non bisogna dimenticare che ancora oggi si produce il miele.
Melito importante crocevia tra Reggio Calabria, Locri e l’Aspromonte, ha due importanti arterie, la statale 106 aperta nel 1868 e la linea ferroviaria Reggio Calabria-Roccella inaugurata nel 1871.
Melito fu gravemente danneggiata dai terremoti del 1783 e del 1908 quest’ultimo causò vittime e danni gravi nelle abitazioni, che furono recuperate e il Paese da allora si espanse in pianura vicino al mare. Melito visse anche gli eventi delle due guerre mondiali e fa parte della memoria del Paese il bombardamento del 31.01.1943 che provocò la morte di tante persone che erano riunite in casa Ramirez e quello del 16 luglio 1943, verso l’undici ant. Un’aereo s’abbassò e lanciò 5 bombe vicino la fabbrica delle pipe alla marina, danneggiandola e uccidendo 11 ragazzi e un povero caporalmaggiore. Due di queste bombe penetrarono nella sabbia senza esplodere. Si dice invece che verso il 15.01.1943 due grosse motonavi furono silurate da un sommergibile inglese, una nave calò a picco di fronte la Marina di Melito e oggi si trova in una secca alla profondità di 25 mt., l’altra danneggiata fini arenata sulla spiaggia senza affondare, si decise di scortare questa nave fino al porto di Messina per essere riparata. La nave partì da Melito verso Messina il 27 gennaio 43. Da terra un piccolo convoglio di automezzi munito di cannoni antiaerei sorvegliava la navigazione della nave, scortandola fino a Capo delle Armi. Dopo avere scortato la nave al ritorno, un guasto al motore di un camion fece sostare la colonna nei pressi della casa dei marchesi Ramirez, la colonna pare fu individuata da un aereo che segnalò quel luogo (tragica fatalità) fotografandolo come un obiettivo militare. La sera del 31 gennaio alle ore 20,00 mentre veniva bombardata Messina e il vescovo si era appena affacciato con gli altri a vedere la scena un aereo si portò sulla casa e sganciò otto bombe dirompenti che in pochi secondi provocò la morte dell’arcivescovo Enrico Montalbetti e di altre nove persone, tra cui il il Marchese Annunziato Ramirez e la sua consorte Caterina Fieschi, il figlio del marchese Annunziato, Francesco Ramirez, allievo Ufficiale alla Nunziatella di Napoli che nonostante ferito, si rifiutò di essere operato per primo, per dare agli altri la possibilità di salvarsi, prodigandosi a dare soccorso e pronunciando parole nobili in punto di morte, gli fu conferita la medaglia d’argento al valore militare. Un’altra vittima fu Don Rocco Trapani in servizio alla curia arcivescovile, il parroco di Anna’ don Giovanni Bilari, i maggiori: Carlo Bertuscelli, Vincenzo Mirto e la moglie Beatrice, Filippo Notarbartolo. A Francesco Ramirez e a Mons. Enrico Montalbetti è stata dedicata una Piazza chiamata Baglio che si trova davanti alla chiesa di S. Giuseppe in contrada Anna’.

(foto Giuseppe Latella)

Gli anni del dopoguerra furono caratterizzati da una forte emigrazione.
Nella cittadina c’è stato un notevole incremento demografico dovuto anche al trasferimento, negli anni 70, degli abitanti di Roghudi e Chorio di Roghudi. L’economia si basa sull’agricoltura, la pesca, l’impresa familiare, i Servizi, il commercio, ci sono numerosi centri commerciali, un forte sviluppo turistico e un notevole aumento dei servizi e del settore terziario.

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